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Promuovere formazione in carcere intende riflettere sul tema della marginalità, dell'esclusione sociale a partire dal ruolo della Pedagogia in carcere e dei processi formativi rivolti a quei soggetti che vivono la condizione di reclusione, ma si indirizza anche ai professionisti che, a vario titolo, operano quotidianamente nei luoghi di detenzìone.
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Proporre percorsi formativi in carcere risponde a due compiti prioritari nella nostra società quali: il dovere costituzionale nel suo articolo 27, nel quale si evidenzia la tutela dei diritti umani di ogni persona come il diritto alla formazione, al trattamento e alla possibilità di reinserirsi nella società, ma anche il dovere di trovare sempre strumenti e strategie formative e mettere a punto delle «buone pratiche» in carcere. Vengono presi in esame i contesti formativi di tipo formale (la scuola) e di tipo non formale (in particolare i percorsi formativi di tipo narrativo ed autobiografico) che rappresentano spazi educativi significativi sui quali riflettere ed elaborare progetti di sviluppo dove il soggetto è attivo e parte centrale del proprio processo formativo. Il volume mette al centro un soggetto visto non solo come persona che delinque, ma come portatore di possibilità di cambiamento verso nuovi percorsi esistenziali. Il lavoro rivolge l'attenzione anche a quelle professioni educative considerate «ai margini»; in particolare mi riferisco ad educatori, insegnanti, volontari che si muovono tra dentro e fuori le mura e tra i paradossi del concetto di «trattamento»: a loro in particolare è rivolto il volume che apre delle riflessioni sulle pratiche formative nei «luoghi di confine» e sullo sviluppo formativo degli operatori che a vario titolo lavorano nelle carceri.